Jacopo Ognibene
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Trasferimento di VivaCorte. Nettuno-Catania. 6-9 giugno 2019

Comandante: Marco Cimonetti

Equipaggio: Francesca Andreozzi, Jacopo Ognibene

Testo: Jacopo Ognibene

VivaCorte è un Dehler 36 (una barca a vela di 11m). E’ davvero molto bellina e, velisticamente parlando, attrezzatissima e veloce.

All’inizio del 2019 è stata regalata da Ivo, il suo precedente armatore, all’Unione Vela Solidale, che la metterà a disposizione delle diverse associazioni che ne fanno richiesta per progetti sociali dedicati a giovani in difficoltà. La vela aiuta, in queste cose. Aiuta molto.

VivaCorte era partita da Savona per scendere verso Catania, ma per successive avarie al motore lungo la sua rotta, era rimasta inchiodata a Nettuno. Francesca, l’attuale “armatrice in carica” ha chiesto una mano per poterla portare nella sua Catania e la Compagnia dell’Altura, con la consapevolezza che ogni euro speso in ormeggi inutili è sottratto ai progetti sociali, è stata felice di mettersi a disposizione per il suo trasferimento.

6/6/2019 Giorno 1. Nettuno-40°N 13°E

Marco ed io arriviamo, pronti a partire, a Nettuno dove troviamo una scalpitante Francesca (lei era lì da diversi giorni). Giusto il tempo di prendere un po’ di pizza e una birretta e alle 1330 salpiamo. Il mare è mosso,  il cielo affascinante, il vento viene da prua. Le previsioni lo danno in calo, leggermente più intenso al largo: a vela e motore puntiamo per una rotta 142°, direttamente sullo Stretto di Messina, consapevoli che passeremo al largo di Ponza, Ventotene, Ischia… 

La navigazione si fa via via più gentile. Dopo poche ore tra noi (la vela aiuta, in queste cose) sembra di conoscersi da sempre. Marco ci delizia con un risotto zucchine e speck. Appena cala l’oscurità iniziamo i turni di guardia (“1+2”. Uno sta di guardia 1h e due riposano 2h, con cambi ogni ora). Prima scende Marco. Dopo un’oretta scende anche Francesca. Poi Marco mi dà il cambio e scendo io.

7/6/2019 Giorno 2. 40°N 13°E-Ponza-40°N 13°E

Alle 0130, mentre siamo a 4-5 miglia a NW di Ventotene, il motore si pianta. Morto. Cazzo!

Non scoppia il panico a bordo (la vela aiuta, in queste cose) ma è un problema, un bel problema. Un fottutissimo problema. Siamo a 20 miglia dal meccanico più vicino!

Si è letteralmente dissaldata dall’alberino della pompa la puleggia che tautologicamente fa girare la girante che fa girare l’acqua di mare per raffreddare il motore. Cerchiamo di capire se sia possibile bypassare la girante, ma nessuna pompa di bordo è interfacciabile con i tubi del raffreddamento. Non c’è niente da fare.

Però possiamo sempre andare in porto a vela (la vela aiuta, in queste cose). Prima puntiamo su Ventotene, a circa 1-2 ore da noi, ma lì non c’è un meccanico motorista e inoltre sarebbe inutile rischiare un atterraggio a vela di notte: “Tiriamo dritto fino a Ischia!”.

Il vento ci è girato esattamente in prua. Saranno 20 miglia da fare di bolina, che bordeggiando diventeranno 30… Al traverso di Ventotene i telefoni si agganciano e possiamo controllare il meteo: il vento calerà proprio davanti a Napoli verso l’ora di pranzo. Rischiamo di non arrivarci mai, a Ischia!

Peccato, perché Francesca ed io stavamo bolinando così bene, ora che finalmente eravamo riusciti a distogliere il pensiero dalla sfigamotoristica… Invertiamo la rotta di 180° e puntiamo su Ponza. Di fatto, stiamo tornando indietro di altre 20-25 miglia, che se tutto va bene dovremo ripercorrere appena fatte le riparazioni. Visti i precedenti dispetti del motore, il morale vacilla, ma almeno ora abbiamo il vento in poppa! Appena è giorno issiamo il gennaker, e iniziamo a divertirci come bambini (la vela aiuta, in queste cose).

Francesca chiama la Capitaneria di Porto di Ponza, spiegando che abbiamo un’avaria grave al motore e che dobbiamo entrare e ormeggiare a vela. Ci assegnano una banchina comoda al Molo Musco. Ammainiamo già in baia e facciamo un ormeggio a vela praticamente perfetto (Capitan Bissi sarebbe orgoglioso di noi!). Intanto ci indicano il meccanico, e subito dopo il personale della Capitaneria inizia a fare un sacco di storie: dobbiamo avere sempre qualcuno a bordo con VHF acceso sul 16 e pronto a spostare la barca (“si, ma non abbiamo il motore, lo sapete?”); il Comandante deve fare denuncia di Evento Straordinario, e forse manderanno il Rina a verificare lo stato della barca (“Ok, ma è solo la girante, lo sapete!”); entro le 1900 dobbiamo liberare la banchina, se del caso pagando gli ormeggiatori “perché siete senza motore, lo sappiamo e dovrete ormeggiarvi di punta, dando àncora” (che poi dovremmo salpare a mano, non avendo motore…). Alla fine capiscono che non siamo dei velisti della domenica e si rilassano.

Intanto, siamo andati dal meccanico, il sig. Salvatore: quando, ansiosi e tracotanti, gli presentiamo la pompa smontata, con la puleggia distrutta e staccata, prima ascolta guardandoci un po’ così, poi dice solo: “È uno Yanmar, vero? Venite alle 19”.

Salvatore (nomen omen) è un vero mago. Nella sua officina piccola e traboccante di roba meccanica ha rifatto l’alberino della girante, con battuta, innesto conico, filetto,; ha riportato il materiale distrutto sulla puleggia e alle 1900 (non alle 1902 eh!) Marco ha già montato la girante (tipo cambio gomme della Formula1) e possiamo mollare gli ormeggi. Salvatore ce lo porteremo nella memoria per sempre. Quello che dice Marco a commento non lo dimenticheremo mai: “Diffida sempre dei meccanici ufficiali con valigetta, RayBan e polo immacolata; e conta sempre sui meccanici che hanno un’officina con tante macchine vecchie, e che sono in grado di ricostruire il pezzo, probabilmente pure solo a memoria!”

Finalmente siamo di nuovo in mare, rotta 140° sullo Stretto. Vela e motore.

Ceniamo presto e abbondante (alla fine non avevamo proprio pranzato!). È già buio quando passiamo diverse miglia al traverso di Ventotene (ma che, davvero eravamo lì 24 ore fa?). Sempre bolina, a volte larghina, a volte “giusta”, spesso troppo stretta per tenere a segno il fiocco. E iniziamo i turni di guardia. Prima riposa Marco, poi Francesca, poi io.

8/6/2019 Giorno 3. 40°N 13°E-39°N 14°E

Nella notte sia Francesca che io ci alziamo un’ora prima, “sballando” la rotazione in pozzetto e la percezione di Marco. Ma è una notte tranquilla e grazie alla turnazione “1+2” il riposo forzato (2h a testa) rende piacevole e fa volare il turno di guardia (1h ciascuno). Prima sparisce la luna, poi le luci della costa alla nostra sinistra (si vede solo il bagliore dell’area metropolitana di Napoli), poi è finalmente il Vuoto. QUEL vuoto assoluto in cui è così bello sentirsi immersi e perdersi al ritmo costante del motore, con le orecchie accarezzate dal friggere della scia che si fa sempre più silenziosa man mano che il mare si calma…

Mentre sono di guardia io alle 0410 il vento è salito a 16nodi ed è girato a 60° dalla nostra prua. Ci sta una bella bolina larga! Vorrei vedere se VivaCorte riesce a tenere una velocità decente, così riduco i giri del motore. Lentamente. Ma non abbastanza, e Francesca e Marco si precipitano a mettere fuori la testa, con due occhi grossi così, temendo chissà cosa… “Tutto OK! C’è un po’ d’aria, volevo solo vedere se teniamo velocità senza spingere col motore!”. Dopo quello che abbiamo passato ieri notte era meglio se avessi aspettato 20’ il cambio turno!

Quando è giorno siamo, ancora, nel nulla totale. Qualche raro cargo sfila lontano. Leggiamo avidamente i nostri romanzi, sonnecchiamo.

Il vento cala e il mare è quasi una tavola. Il caldo è intenso… Ci vorrebbe un bagno! Messa VivaCorte in cappa e filata una cima ci concediamo 10’ di sosta per un po’ di tuffi (e una controllata sotto la linea di galleggiamento). Fare il bagno al largo, senza alcun punto di riferimento visibile, sprofondati nel blu… Gioia infantile e gratuita. Siamo davvero immersi nella natura, lo sentiamo sulla pelle di essere natura anche noi.

Ma va detto che non siamo mai davvero soli (la vela aiuta, in queste cose): in tutto abbiamo avvistato 5 tartarughe solitarie che andavano in direzione contraria alla nostra, lente e gentili. Poi due branchi di delfini piccoli e bicolori si sono messi a giocare con la nostra prua. E noi (come tutti i marinai) diventiamo matti di gioia! Ma manca ancora qualcuno…

Poco dopo pranzo (Marco ci ha sparato una doppia razione di risotto zucchine limone e alici da sturbo) una coppia di piccioni si avvicina da poppa. Due piccioni? Cos’è, uno scherzo? Siamo nel nulla totale. Ma da dove cazzo vengono?!? Io per l’emozione (due piccioni?!?) mi faccio sfuggire qualche stronzata a voce alta e loro si spaventano e fanno marcia indietro. Si posano in mare (!) nella nostra scia, uno dei due cerca rifugio sopra l’altro, che si rialza quasi subito in volo e ritorna verso di noi per posarsi sulla tuga, all’ombra della randa. Si vede chiaramente che è stremato.

E l’altro non viene? E l’altro, dov’è? E solo allora capisco: ho ucciso un piccione. Magari era la femmina della coppia. Scappando dalle mie urla non ha più trovato le forze per rialzarsi in volo ed è rimasta là, in mezzo al mare. Ho ucciso un piccione, ho messo fine ad una vita che era qui pochi secondi fa. E ho distrutto un amore. Lo giuro, Piccione, non volevo.

Ho dentro un magone duro, mai raccontato finché non ho scritto queste righe. Proviamo a dare qualcosa da mangiare al Piccione, che però circospetto non si muove da dov’è. Prendo una tazza di acqua dolce e lentamente gliela avvicino. Mi lascia fare. E dopo un po’ inizia a bere (grazie, Piccione). Iniziamo ad ignorarlo e lui si lava dalla salsedine e beve, e poi mangia, anche. Scusa, Piccione.

La notte arriva tardi e stavolta ci prepariamo ad affrontare i turni con più metodo. Abbiamo davanti lo Stretto, meglio arrivare riposati.

9/6/2019 Giorno 4. 39°N 14°E-Catania

Alle 0230 salgo a dare il cambio a Marco. Siamo a una decina di miglia dalle Eolie. Davanti a noi oltre ai fari di Strombolicchio e di Salina c’è anche un discreto traffico di pescherecci, che bisogna tenere costantemente d’occhio perché continuano a cambiare rotta. Dopo un’ora arriva Francesca e sono sveglio come un grillo così mi fermo in pozzetto con lei. Ci godiamo insieme il lento e magico avvicinamento a Stromboli: Francesca dice “Chissà se erutterà” e poco dopo vediamo una cascata rossa di lapilli partire dalla cima del cratere! Ne vedremo finché rischiarirà, a intervalli di 15-20’. Stiamo incollati a questo spettacolo neanche fossimo al cinema.

Strombolicchio è in prua e ora ne vediamo anche il profilo controluce. Poco prima dell’alba siamo tutti in pozzetto (i turni sono allegramente saltati, per l’emozione di “arrivare” qui) e siamo al traverso di Stromboli. I telefoni riprendono campo, giusto il tempo di mandare qualche messaggio (è notte fonda, non ha senso telefonare a chi è a terra adesso!).

Il Piccione non c’è più. Sarà volato a Stromboli?

A metà strada tra Stromboli e lo Stretto altri delfini (sempre “bicolori” e piccolini) giocano con la nostra prua. E il Piccione ricompare sulla crocetta bassa di sinistra! Almeno sappiamo che ha passato una notte tranquilla, riposando nella cabina di prua! Ma poi vola via per davvero. Scusa ancora, Piccione. Buon vento.

Arriviamo allo Stretto indaffarati a comunicare con Il Resto Del Mondo, dopo un giorno e mezzo di silenzio. Ammiriamo le spiagge e l’acqua azzurra di Capo Faro, e alle 1230 siamo nello Stretto! Avremmo dovuto fare gasolio prima, ma ce ne ricorderemo solo qualche ora più tardi, quando saremo praticamente a secco.

Passata Messina sale un po’ d’aria da poppa e ci illuminiamo: sì, possiamo dare gennaker! Mentre prepariamo non realizziamo che il vento sale ancora così appena esponiamo la vela ci rendiamo conto che è, letteralmente, ingestibile. Ci sono 18-20 nodi! Ammainiamo immediatamente e con fatica (ricordarsi: prima di tutto sparare la mura!) e riapriamo il fiocco. L’onda inizia a montare veloce ed è bello vedere VivaCorte correre a 7nodi e più!

Francesca prende il timone: quello automatico (l’Orcorauco) è inutile con onda in poppa. Dopo un po’ provo ad allenare Francesca ad un’andatura veloce “da regata”, vagamente innaturale per tutti (si orza sull’onda cercando di starci e si poggia scendendone, sfruttando l’abbrivio). Le raffiche arrivano a 28 nodi e dopo una partenza in straorza riduciamo la randa alla seconda mano di terzaroli. Percepisco un po’ di sconforto addosso a Francesca (le straorze ti lasciano sempre un senso di impotenza) e mi rammarico per lei, che si stava godendo la velocità di VivaCorte (oltre tutto la colpa della straorza era mia, che ho lascato in ritardo la randa!).

Ah, da quando abbiamo passato Capo Faro siamo entrati nello Jonio!

Appena siamo fuori dall’imbuto dello Stretto (20 miglia si percorrono velocemente in queste condizioni!) il vento cala drasticamente e l’onda si spiana. E poi tornerà aria da prua. Riposiamo un po’ (io dormo 2h in pozzetto, rosolandomi) in questo avvicinamento a Catania, che sembra non arrivi mai. Riposto, Acireale, Aci Trezza, Aci Castello…

Il tramonto sotto l’Etna che sbuffa tranquilla (Idda! È femmina), con tutte le luci di terra che accendono la costa ininterrotta è davvero stupendo e sembra voler ritardare il nostro commiato da VivaCorte. Al largo di Catania altri delfini (stavolta grigi, più grandi) danno l’ultimo spettacolo, giocando con noi. Francesca è giustamente in fibrillazione (sta tornando a casa! E con VivaCorte!) e ci segnala tutto ciò che riconosce a terra e che noi vorremmo poter visitare con lei, se mai ne avessimo il tempo.

E poi è Porto. Ormeggiamo al pontile galleggiante del Mediterranea di Catania intorno alle 2300. Dopo oltre 52 ore di navigazione ininterrotta sempre tra noi 3, scendere a terra e anche solo scambiare due parole con il guardiano è alieno.

Ci rintaniamo in pozzetto a finire una mezza bottiglia di rum appositamente tenuta da parte da Francesca e a chiacchierare fino a tardi di vela solidale, cercando così di festeggiare come si deve l’arrivo di VivaCorte alla sua nuova casa e contemporaneamente di prolungare il nostro voler stare ancora insieme (la vela aiuta, in queste cose!).

Alle 0200 siamo definitivamente in branda. Anche riuscire a dormire una notte filata fino a domani senza dover montare di guardia ogni 2 ore sarà difficile.

10/6/2019 Giorno 5. Catania e saluti

Alle 830 ci alziamo e con Francesca c’è Giuseppe, suo papà. Il tempo di bere il caffè insieme e scambiare qualche parola e lui già ci lascia (stasera tocca a lui partire). L’orgoglio di un padre per una figlia coraggiosa e tosta si vede anche da lontano, e riempie il cuore.

Francesca ci porta a fare una sontuosa colazione-pasto a base di granita e briosce. Poi per me e Marco è tempo di “Arrivederci VivaCorte”, bagagli in macchina, e aeroporto, immersi nella folla vociante che fino a stamattina ignoravamo sarebbe arrivata a tranciare le cime che ci tenevano ormeggiati alla nostra avventura a 3…

Salutiamo anche Francesca, lasciandole qualcosa di scritto sulla prima pagina del nuovo Diario di Bordo di VivaCorte, con la speranza che si riempia presto di tante e tante pagine di mare, emozioni e solidarietà!

Dopo aver passato 5 giorni strettamente insieme ti senti appartenere ad un gruppo così speciale che è davvero dura separarsene per tornare alla vita di terra. Ma è un gruppo che, lo sai, prima o poi e inaspettatamente (come le straorze, i delfini, il Piccione e il vuoto tutto attorno) tornerà a riunirsi e a condividere miglia, parole e progetti.

E la vela aiuta, in queste cose. Aiuta molto.

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